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Il Premio Letterario Internazionale Mondello
Il Premio - XL Edizione
Il Vincitore del Premio Mondello Critica
Enrico Testa - L’italiano nascosto (Piccola Biblioteca Einaudi)
Enrico Testa è nato nel 1956 a Genova, dove insegna Storia della lingua italiana all'università. Dopo Le faticose attese (San Marco dei Giustiniani 1988), ha pubblicato da Einaudi le raccolte poetiche In controtempo (1994), La sostituzione (2001), Pasqua di neve (2008) e Ablativo (2013). Sempre per Einaudi ha curato il Quaderno di traduzioni di Giorgio Caproni (1998), l'antologia Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000 (2005) e L'esistenza. Tutte le poesie 1980 - 1992 di Alberto Vigevani (2010). Tra i suoi saggi: Lo stile semplice. Discorso e romanzo (Einaudi 1997), Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento (Bulzoni 1999), Montale (Einaudi 2000), Eroi e figuranti. Il personaggio nel romanzo (Einaudi 2009), Una costanza sfigurata. Lo statuto del soggetto nella poesia di Sanguineti (Interlinea 2012), L'italiano nascosto. Una storia linguistica e culturale (Einaudi 2014).
- L’opera premiata
L'interpretazione della storia dell'italiano si è a lungo fondata sulla cesura tra lingua letteraria e dialetti: da un lato raffinati cesellatori della pagina, dall'altro una schiera di rozzi interpreti degli idiomi locali. Utilizzando studi recenti e commentando numerosi documenti, anche inediti o rari, questo libro di Enrico Testa propone una visione radicalmente diversa e prospetta l'esistenza, nel corso dei secoli, di una terza componente: un italiano di comunicazione dalla vita nascosta, privo di ambizioni estetiche ma utile a farsi capire. Uno strumento linguistico spesso trasandato che, basato su una forte stabilità di strutture e su un'identità di lunga durata, ha permesso, sotto la spinta di bisogni primari, il concreto definirsi di rapporti tra scriventi (e parlanti) di luoghi e statuti sociali diversi.
- La motivazione espressa dal Comitato di Selezione
Enrico Testa in L’italiano nascosto (Piccola Biblioteca Einaudi) mostra come la nostra lingua prima dell’Unità non fosse riservata alla letteratura e ai documenti scritti, come pure vuole una vulgata finora imperiosa e quasi indiscussa della linguistica, ma veniva usata per comunicare tra scriventi e parlanti di luoghi e strati sociali differenti, oltre i dialetti locali. L’italiano, benché impoverito e semplificato, ma sempre “ad alta funzione pragmatica”, è stato una lingua parlata, dunque viva, non cartacea e polverosa, già dalla fine del ’400, molto tempo prima della scuola dell’obbligo e della TV. Quello di Testa è un “racconto” limpido, persuasivo, coerente, affollato da mercanti, pescivendoli, ciabattini, soldati, monaci e briganti, e sapientemente affidato a una documentazione puntigliosa, che potrebbe ridurre la distanza tra lingua letteraria (congelata in una condizione di separatezza dai motivi e dalle espressioni legati alla proteiforme condizione umana) e lingua dell’uso e ridare un po’ di fiducia alla possibilità espressiva e comunicativa dell’italiano “pidocchiale”, per dirla con Tommaso Landolfi, quello della vita nascosta.